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The kids aren’t all right di Flavio Cannistr

 

Londra è in Canada.
Serio. London, città dell’Ontario.

E a London scoprono una cosa: che c’è un declino dell’accesso ai tradizionali servizi di salute mentale da parte della fascia 16-25 (Sukhera, Lynch, Wardrop & Miller, 2017).

[Nota personale: si parla di “tradizionali servizi di salute mentale”. Recentemente ho fatto un’analisi di 260 richieste di supporto psicologico attraverso un portale online. Indovinate qual è una delle fasce che più fa richiesta? Bravi. Il 36% si colloca tra i 13-25 anni. Il 45% tra i 26-40 (peraltro fascia leggermente più ampia). Solo il 16% va dai 41 anni in su (“in su”!, cioè dai 41 ai… 1000, per dire). Gli amici di IDEGO – Psicologia Digitale riportano che la media degli utenti che si rivolgono al loro servizio “non tradizionale” di web-help ha 24,7 anni.]


Dicevamo: London, Canada.

I 16-25enni usano sempre meno i tradizionali servizi di salute mentale.


Perché?

Tra le varie ragioni, il fatto di avere lunghe liste d’attesa e servizi “a semaforo” (passano prima i codici rossi) ha sviluppato un senso di impotenza tra giovani e famiglie. “Ho un problema? Me lo tengo: tanto nessuno mi può aiutare”. Psicologo libero professionista: Va beh, a me che me ne frega? Io mica ho problemi di liste d’attesa.Eh no, cavolo, te ne deve fregare un bel po’! Perché il senso di sfiducia mica fa bene a te. Cos’è? Pensavi: “Non vanno negli ospedali, quindi vengono da me”? Stai fresco, cocco.

Perché sai, ti ho mentito. Ho mentito a tutti.
Consapevolmente, eh (cioè uno le cose le fa bene).
Hai presente quando ti ho scassato le scatole per mille volte dicendoti “il numero più frequente di sedute in psicoterapia è 1” (che significa che una grande fetta – tipo il 20-25% – delle persone viene per una seduta e poi stop – vedi Hoyt & Talmon, 2014, ma anche la ricerca dell’OMS: Wells et al., 2013)? Ecco, non è vero. Non è vero che il numero più frequente di sedute in psicoterapia è 1. Il numero più frequente di sedute in psicoterapia è ZERO.

Ha pure un nome, ‘sta cosa: unexpressed help-seeking (richiesta d’aiuto inespressa).Se in alcune nazioni si stima che i 2/3 delle persone con disturbo mentale non chiedono aiuto (Andrews et al., 2001), in Italia la stima sembra arrivare anche fino al 92%.

[Storione noioissimo per chi ama i dati: In una ricerca italiana sui giovani adulti si è visto che circa il 63% non ha chiesto aiuto specialistico – Fiori Nastro et al., 2013.

E il past-president della Società Italiana di Psichiatria, Claudio Mencacci, ha affermato che, nella popolazione generale, si rivolgano a un professionista solo l’8-16% delle persone con disturbo mentale – Società Italiana di Psichiatria, 2013 (da qui l’affermazione che fino al 92% delle persone con disturbo mentale non si rivolgono a un professionista). Peraltro, nella ricerca di Andrews et al. (2001) di cui sopra, le 2 motivazioni principali a fronte di un così scarso accesso sono “costi” e “mancanza di fiducia”.] Cioè l’80% di chi avrebbe bisogno/gioverebbe di un servizio di consulenza psicologica o psicoterapia… non chiamerà MAI un professionista.

Pubblico o privato che sia. E’ democratico.

Soluzioni?

A Londra, in Canada, propongono:

  1. Servizi flessibili e “real-time” (presente il concetto di “terapia al bisogno” di cui ho parlato in questo articolo?), i quali devono enfatizzare
  2.  il coinvolgimento del paziente e della famiglia nel processo terapeutico (della serie: hai una persona davanti, non una diagnosi)
  3.  processi, all’interno delle strutture, che consentano di far accedere velocemente le persone ai servizi di cura.
E, più in generale, “il bisogno di un cambiamento trasformativo che si allontani dai modelli medici tradizionali”.
Psicologo libero professionista: Ok, ma io che c’entro? Cioè, che posso fare?

TUTTO!

Sai in Italia chi è il principale concorrente della Sanità Pubblica? La Sanità Privata. Sei tu! Le persone sono disposte a spendere soldi, a fronte di un servizio pubblico insoddisfacente – soprattutto se il servizio privato è in grado di dargli molto meglio. Ma devi essere in grado di fare esattamente questo: dargli molto meglio. Dargli ciò che non trovano altrove. E, in più, tu professionista privato devi entrare in una logica “orientata alla persona”. Capire quali sono i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi problemi… e rispondere in modo adeguato.

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