
La musicoterapia e il malato terminale
La malattia terminale è un evento di vita che sconvolge il malato e i suoi familiari e la diagnosi rappresenta l’inizio di un percorso di lotta. Lotta contro il dolore, contro la realtà e contro la perdita di speranza.
Soprattutto il dolore diviene compagno in questa fase finale dell’esistenza del malato, in cui la sofferenza diventa totalizzante, in quanto investe non solo la sfera fisica ma anche quella psichica, sociale e spirituale. Di fatti, il dolore, è un vissuto complesso da trattare, proprio perché non bastano i farmaci, ma occorre offrire al paziente un supporto che veda l’utilizzo di tecniche che agiscano a livello mentale ed intimo (Cole, Lo Biondo-Wood, 2014).
Le cure palliative rappresentano una risposta a tale condizione, un modo di prendersi cura del malato e della sua difficoltà di esprimere le proprie emozioni e le proprie paure nei riguardi della condizione limite che si trova a dover affrontare. Pallium significa “mantello”, e palliativo richiama l’idea di proteggere, avvolgere, contenere.
Uno dei supporti utilizzati per migliorare la qualità della vita dei pazienti terminali è la musicoterapia, una tecnica che agisce a livello psicologico, focalizzando l’attenzione delle persone sull’ascolto della musica, fatta di suoni rilassanti e piacevoli, che inducono la persona a rilassarsi e a distrarsi dal dolore e dal disagio che sente.
Questa tecnica veniva utilizzata fin dall’antichità: in Egitto usavano il canto per ridurre il dolore, in India il canto era utilizzato nella preparazione al parto, nell’antica Roma si impiegava la musica nella salute psichica (Gallagher, Huston, Nelson, Walsh, Steele, 2001).
Prende piede però, come disciplina utile e riconosciuta, solo negli ultimi 20 anni, quando alcune ricerche dimostrarono come le vibrazioni del suono sul nostro corpo causassero dei vantaggi nei riguardi dell’ansia, dei disturbi dell’umore, della qualità della vita e della percezione del dolore (Archie, Bruera, Cohen, 2013).
Studi provenienti dall’università di Chicago, riportano di “un uomo di mezza età con il cancro ai polmoni che respira più facilmente e riduce il bisogno di cure mediche dopo aver partecipato ad una terapia di rilassamento a base di musica” (Pawuk, Schumacher, 2010). Ancora, in un altro studio, è stata sperimentata un’unica seduta di musicoterapia in 200 pazienti facenti parte di un’unità operativa di cure palliative, e i risultati sono stati positivi sulla riduzione del dolore.
La musicoterapia diviene quindi una tecnica complementare ed alternativa per il controllo del dolore, e proprio perché complementare, deve essere utilizzata insieme alla terapia farmacologica. È una disciplina scientifica, e lo strumento principe di cui si avvale è il suono.
Ma come si pratica questa “arte-terapia”?
Innanzitutto, può connotarsi in una forma attiva e in una forma passiva.
Attiva quando vi è l’uso di strumenti musicali, della voce e di altri oggetti capaci di creare sonorità; passiva quando vi è l’ascolto di musiche che possono essere proposte sia dall’esperto che dagli stessi pazienti (Warth, Kessler, Koenig, Wormit, 2014).
Le sedute possono essere rivolte a gruppi o alle singole persone, ma l’aspetto importante riguarda la scelta del luogo di svolgimento, della frequenza delle sedute e nella scelta della strumentazione necessaria. La stanza deve assicurare una qualità acustica sufficiente ad evitare dispersione sonora o riverberazione e possedere una nutrita varietà i strumenti. Un campionario tipo dovrebbe consistere in strumenti idiofoni (xilofoni, legnetti, campanelli, maracas, triangoli) membranofoni (tamburi, bongos), cordofoni (chitarra, pianoforte), aerofoni (flauto dolce).
Nonostante tutta la strumentazione, però, sono il musicoterapeuta e i malati a costituire lo strumento musicale vero e proprio: l’essere umano che, nel far vibrare le proprie emozioni, dice ed esprime quale sia il suo autentico stato d’animo attraverso la voce ed il canto.
Il paziente in fase terminale capisce che la guarigione non è più raggiungibile, e che la morte potrebbe arrivare all’improvviso. Si confronta con se stesso, con la storia della sua vita, sentendo spesso la propria identità in frantumi, perché diventato dipendente dagli altri. Nei momenti finali della vita, ci si avvicina a ciò che è realmente essenziale: le relazioni, gli affetti, gli aspetti spirituali dell’esistenza (Scardavelli, Ghiozzi, 2003).
Spesso tali riflessioni, e i sentimenti che ne scaturiscono, rimangono però in silenzio, incapaci di esprimersi. La morte fa paura, e anche solo parlarne sembra impossibile e troppo doloroso.
“C’è in noi un’evidente tendenza a scartare la morte, a eliminarla dalla vita. Abbiamo messo a tacere il pensiero (…)” (Freud, 1976). Così S. Freud apre la discussione su come la morte sia divenuto un concetto intollerabile, un tabù, qualcosa di cui non parlare.
In virtù di questo, la musicoterapia può invece offrire uno spazio protetto e di contenimento alle persone che devono affrontare questo intollerabile destino, tentando di mirare ad un’ accettazione consapevole della situazione e ad una nuova prospettiva sulla morte, anch’essa parte della vita.
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