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Realtà virtuale e consapevolezza storica. Il progetto Witness: Auschwitz

La realtà virtuale ci ha abituato, in larga parte, a potenziare e migliorare la nostra percezione della realtà.

Con la realtà virtuale si possono allenare competenze specifiche in persone sane, e migliorare le abilità residue di persone in posizione di svantaggio (magari a seguito di impairment cognitivi, fobie etc.).

In questo articolo, però, usciremo dall’ambito di applicazione della realtà virtuale a scopo riabilitativo per entrare in un’area della psicologia delicata e affascinante, quella della consapevolezza, e in particolare, della consapevolezza storica.

Copyright http://witnessauschwitz.com/

La collaborazione, tutta italiana, tra lo studio 101% e l’agenzia I SAY ha dato vita al progetto Witness: Auschwitz, un ambiente virtuale in cui l’utente è proiettato a sperimentare in prima persona la vita dei detenuti all’interno del tristemente noto campo di sterminio nazista.

IL MOTIVO

L’esigenza di realizzare un prodotto simile, spiega Alex Zarfati, consulente di I SAY a La Stampa, nasce dall’aver sperimentato direttamente le diverse reazioni dei visitatori durante la visita nei campi di sterminio.

In particolare, la vista di giovani che si scattano selfie davanti ai luoghi del terrore, è stata la molla che ha svelato il bisogno di creare una nuova consapevolezza.

Questa nuova consapevolezza passa attraverso un medium diverso dal solito, basato su un nuovo protocollo che intercetti al meglio i giovani, pur mantenendo un’efficacia ed una resa narrativa forte e impattante.

Il tema della Shoah, spiega Zarfati, non può lasciarsi dietro un pubblico (adulto o meno) disinteressato. Solo perché non siamo stati testimoni diretti, solo perché la questione non ci ha toccati da vicino, non possiamo trattarla come un avvenimento ormai adagiato e risolto nelle pieghe del passato.

Witness: Auschwitz è stato concepito per quei ragazzi, per permettere a una generazione che legge sempre meno, disinteressata anche alla cinematografia, di recuperare il filo emotivo con vicende solo apparentemente lontane, usando strumenti che loro percepiscono più naturali, contigui alla loro quotidianità. Offrendo un’immersività tale da non poter essere ignorata.” (Alex Zarfati per La Stampa)

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L’ESPERIENZA

Witness: Auschwitz è senza dubbio l’esempio di un controverso, seppur potentissimo, utilizzo della Realtà Virtuale.

L’altissimo grado di immersività (si veda il filmato a fondo articolo) e di interazione con l’ambiente circostante, uniti ad un elevato coinvolgimento emotivo, proiettano l’utente nella sfida quotidiana di sopravvivere all’interno del famigerato campo di sterminio durante il suo periodo di massima attività, il 1943.

All’epoca, l’obiettivo della macchina da guerra tedesca era annientare la popolazione ebraica e le comunità di minoranze etniche in Europa, secondo le linee guida che Hitler aveva dato nel suo delirante Mein Kampf.

LA TECNOLOGIA

I motori di gioco sono utilizzati per creare ambienti realistici con personaggi credibili dotati di Intelligenza Artificiale.

Stimolando l’allo-corteccia, il nostro cervello viene “ingannato” e registra ciò che vediamo real time tramite il visore di Realtà Virtuale come se fosse la vera realtà.

Nel mentre, la corteccia pre-frontale bilancia il gap realistico-reale attraverso il processo di razionalizzazione.

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Ciò consente di generare nell’utente un’esperienza molto personale con un elevato livello di senso di presenza nel mondo simulato.

NON CHIAMATELO VIDEOGIOCO

Spesso, l’impressione che gli utenti hanno quando entrano in contatto con la realtà virtuale è quella di approcciarsi ad un videogioco.

Che i videogiochi approfondiscono sempre più spesso tematiche a sfondo psicologico, articolate e per niente banali come lutti, depressione e autismo (si veda, ad esempio, The Last of Us, To The Moon, Celeste) è ormai un sdoganato.

Nonostante questo, uno dei fondati timori dei creatori di Witness: Auschwitz è che gli utenti a contatto con questo nuovo medium possano scambiarlo per un’esperienza puramente ludica, che è quanto di più lontano dall’intento originale.

Per questo Daniele Azara, direttore creativo di 101%,  puntualizza che, seppure le tecnologie e le logiche (il punto di vista in prima persona, o gameplay, ad esempio) retrostanti a Witness: Auschwitz possano sembrare le medesime utilizzate nello sviluppo di videogiochi, è il contenuto che detta il tipo di fruizione del prodotto.

A questo proposito Zafardi puntualizza che in Witness: Auschwitz non sono mostrate scene di violenza: esistono già numerosi film, libri e opere che testimoniano le crudeltà perpetrate nei campi di sterminio.

Risvegliare le coscienze sempre più intorpidite verso una maggiore consapevolezza su fatti e avvenimenti che non degradino nel puro intrattenimento ludico è una sfida, difficilissima, che si gioca facendo leva non solo sulla sensibilità individuale, ma sul realismo spietato di quanto si racconta.

Un altro aspetto importante, a nostro avviso, è proprio dove avviene la fruizione. Si legge nell’intervista a David Gallo, direttore generale e partner di 101%, che “Witness: Auschwitz  sarà fruibile [almeno all’inizio] solo in apposite installazioni museali o istituzionali per garantire un’esperienza il più possibile accompagnata da un percorso introduttivo al tema”.

L’INTERAZIONE

I creatori riportano che l’interazione è facile da capire e fondamentale per raggiungere l’obiettivo.

La parola chiave è “aptico“: il ventaglio di azioni possibili all’interno dell’ambientazione è, infatti, molto vasto ed articolato. L’utente potrà interagire con l’ambiente, gli oggetti e le persone.

L’OBIETTIVO ARTISTICO

Come ogni prodotto interattivo e digitale che si rispetti, l’attenzione alla resa artistica è fondamentale.

I creatori si sono posti come scopo quello di utilizzare al loro massimo livello di efficienza tecnologie estremamente avanzate e scarsamente sfruttate per far vivere le persone, attraverso l’esperienza diretta, eventi così incomprensibili e indicibili che un libro o un film semplicemente non possono rappresentare completamente.

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PROFESSIONI ED ENTI COINVOLTI

Il progetto Witness: Auschwitz ha reso necessaria la collaborazione di diverse professioni e personalità. Il mix di saperi che si è creato ha dato vita ad un prodotto sconvolgente.

Professionisti della comunicazione e dell’interattività, psichiatri e, dulcis in fundo, psicologi hanno collaborato con i massimi esperti e conoscitori italiani ed internazionali del mondo ebraico.

L’aderenza storica di eventi ed esperienze è stata garantita dal patrocinio della Comunità Ebraica di Roma e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

La cooperazione con questi esponenti ha reso possibile, spiega Zarfati, affrontare il tema con il dovuto rispetto e sensibilità, elementi necessari per chiunque intenda divulgare argomenti di questa portata in modo onesto ed efficace.

CONCLUSIONE

Ad oggi, la realtà virtuale è l’unica tecnologia in grado di elicitare contemporaneamente la maggior parte dei nostri sensi.

La grafica mozzafiato, il senso di presenza, le logiche ingaggianti fanno sì che la fruizione di prodotti multimediali renda l’esperienza impareggiabile.

Ma, forse, qui la questione va ben oltre un pugno di pixel.

Basteranno tutti questi elementi a elicitare anche le nostre coscienze?

Giulia Gargaglione

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